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RE DELLA TERRA SELVAGGIA
(BEASTS OF THE SOUTHERN WILD)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 febbraio 2013
 
di Benh Zeitlin, con Quvenzhané Wallis, Dwight Henry (Stati Uniti, 2012)
 
Sono state due le grandi rivelazioni del 2012, TABOU del portoghese Miguel Gomes, e questo RE DELLA TERRA SELVAGGIA: opera prima girata con pochi soldi dal trentenne Benh Zeitlin, premiata a Sundance, Camera d'Oro a Cannes, nominata agli Oscar come miglior film, regia, sceneggiatura e protagonista femminile, la miracolosa bambina di sei anni Quvenzhané Wallis.

Bastano le prime immagini per comprendere di essere confrontati a una sfida all'eccesso, ma rara, terribilmente sorprendente. Non tanto per il soggetto: la lingua della Louisiana che affonda negli acquitrini prima del mare, il bayou, primordiale, eternamente minacciato da impietosi Katrina. E i suoi sopravvissuti che vivono al margine della civiltà industriale protetta dalle dighe nel rifiuto di abbandonarla, brigata allegra e fraterna che convive con coccodrilli, cinghiali preistorici e rifiuti dei nostri consumi, affondando le unghie e i denti nei crostacei ancora vivi. Comunità primitiva, semi sommersa in una dimensione apocalittica, ma scombiccherata e felice tra i valzer cajun abbarbicati alla vita.

A coprire tutta quella prepotenza esistenziale, una dimensione magica, soprannaturale. Forse perché osservata dagli occhi di una bambina di sei anni. Sicuramente perché mediata dallo sguardo di un cineasta a dir poco disinibito: "Volevo confrontarmi con il caos davanti alla mia cinepresa, renderlo in modo artigianale, tuffandomi in acqua se necessario, come quei villaggi del bayou inghiottiti dall'oceano". L'intervento di Benh Zeitlin rispecchia incredibilmente la sua volontà di penetrare letteralmente, in una condivisione organica quel microcosmo, alla ricerca di un ordine naturale perduto: in un unicum, nel quale l'uomo si fonde con il mondo animale e vegetale. E' un universo biblico e selvaggio, animista e stregato, ma al tempo stesso coerente nella sua fuga verso il fantastico. La cinepresa fruga in quell'universo brulicante con una frenesia inarrestabile, con un'avidità che la salva dai rischi del compiacimento estetico. E se si pensa naturalmente a Terence Malick (oltre che al MOBY DICK di Huston, a Melville), è per il lirismo del suo modo di riferire l'individuo alla natura: anche se quella di Benh Zeitlin appare meno la constatazione accorata di una perdita che una rivendicazione quasi arrogante alla rivolta.   

I desideri della piccola Hushpuppy si trasformano in realtà, si fanno filo conduttore drammaturgico, le permettono di sfidare le zanne degli uro, i giganteschi bisonti preistorici; o di partire alla ricerca di una madre scomparsa in un bordello fiabesco fra le onde del mare. La brutalità cruda dell'osservazione si trasforma in conforto fiabesco: e al film riesce di trasformare tanto radicalismo esistenziale ed espressivo in una commovente possibilità di ricostruzione civile.


   Il film in Internet (Google)

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